20 Marzo 2014
Descrivere Napoli? Impossibile ma ci abbiamo provato...
TweetQualsiasi tentativo di spiegare Napoli può apparire superfluo. Milioni di parole sono state dette e scritte per cercare di definire l’indefinibile, poiché Napoli mal si adatta ad essere ingabbiata in un giudizio univoco e definitivo ed è refrattaria ai criteri che vengono universalmente utilizzati per descrivere città e paesi di ogni latitudine. Diffido di coloro che con superficialità e presunzione affermano che Napoli sia la città più bella del mondo. Non comprendo quanti rimpiangono una Napoli che fu ma che in realtà non è mai esistita. Non sarò certo dunque io ad azzardarmi in questo difficile ed improbabile compito poiché rischierei di naufragare nel mare del luogo comune e dell’ovvietà.
Si giunge ad un punto in cui bisogna decidere se continuare a “sopravvivere” a Napoli o se iniziare a “vivere” Napoli. E’ preferibile optare per la seconda via anche se ardua e piena di tranelli. Vivere questa città infatti significa accettarla in toto, senza mediazioni, con tutto quel che ti sbatte in faccia ogni giorno, mettendo a dura prova e in continua discussione le proprie convinzioni, il proprio modo di essere e l’idea stessa che si ha della convivenza. Terra radicale, mai banale, tutto o niente, prendere o lasciare senza spazio per distinzioni ed eccezioni. Gente ad un tempo generosa, feroce e sanguigna. Non si tratta, dunque di nascondere l’evidenza o chiudere gli occhi dinnanzi ad una realtà difficile e contraddittoria. E’ piuttosto un esercizio acrobatico teso a superare quanto di squallidamente terreno si presenta nel quotidiano, tenendosi in bilico quasi come un funambolo per osservare dall’alto e per meglio coglierne l’essenza, i connotati, il suo mistero profondo e la bellezza. Una bellezza mai passiva, mai statica, mai da visita museale.
Per comprendere e dunque per vivere questa terra, bisogna considerarne gli aspetti nella loro globalità e dotarsi di strumenti tarati e adatti (curiosità e tolleranza prima di tutto), per poterla esaminare e sviscerare così che, attraverso la lente globale, anche i suoi difetti e le sue brutture diventino comprensibili. E’ necessario un approccio quasi olistico perché qualsiasi giudizio, positivo o negativo, che non voglia essere affrettato e superficiale non può prescindere dai tanti elementi che l’hanno resa ciò che è.
Allora per cominciare, non si può prescindere dal considerare la sua storia millenaria, le sue viscere, la sua natura ammaliante e crudele, la geologia e la morfologia, le sue tradizioni, gli usi e gli abusi, le sue credenze sempre in bilico tra sacro e profano, l’architettura stratificata.
E’ necessario considerare il suo popolo crogiuolo di razze e culture; un popolo che si identifica in maniera totalizzante con la sua città e viceversa in un connubio quasi soffocante; quel popolo da sempre tendenzialmente monarchico ma istintivamente anarchico, con il suo modo di approcciarsi al potere e all’ordine costituito che ben si riassume nell’antico grido: “ Viva lo Re, abbassa lo mal governo”. Perché da sempre questo popolo ha avuto bisogno di un “Re”, sia esso monarca, popolano, santo, martire, burocrate, demagogo, artista o calciatore, nel quale credere fino all’immedesimazione completa e al quale affidare il proprio destino alla perenne ricerca di un non meglio specificato riscatto. Un popolo però al tempo stesso profondamente anarchico, mal disposto e diffidente per istinto al comando, alla regola imposta e alla sanzione.
E’ necessario ascoltare la lingua e i suoni così naturalmente musicali, godere della sua arte “globale” intesa cioè come espressione di tutte le virtù e come eredità di scuole e artisti di ogni dove. Non si può prescindere dalla squallida miseria che nel corso dei secoli ha modificato solo il suo aspetto esteriore e mai ciò che la genera, né dalla sua cultura alta, altissima e neanche dalla sua infinita ignoranza, né si può fare a meno di guardare alla sua anima nobile e stracciona ma mai veramente borghese. Non è possibile ignorare le sue leggende, le superstizioni, la magia o l’alchimia che l’hanno governata e neanche le sue infinite distruzioni, epidemie e sventramenti che hanno reso il cammino nella storia sempre irto, accentuando quel tragico e rassegnato senso di precarietà e di temporaneità insite nel sentire comune. Non si può prescindere dalle invasioni e dalle razzie subite, dalle violenze, dalle rivoluzioni e dalle conseguenti vendette, né dai suoi Re così differenti l’uno dall’altro e le cui effigi, in un semplicistico tentativo di ricostruirne i passaggi storici, sono stati inglobati nelle nicchie di Palazzo Reale accomunando in un'unica raffigurazione scenica quanti di essi furono illuminati e coloro che ne furono solo predatori. Così come non si può ignorare il potere degli ordini monastici, delle congreghe o della massoneria.
Se si considera tutto questo allora la ri-scoperta di Napoli diventa lenta, graduale, coinvolgente e sorprendente. Se si ha un approccio scevro da pregiudizi e stereotipi, allora si ha la netta percezione di vivere in una città semplicemente stra-ordinaria nel senso letterale del termine. Ovvero un luogo unico, dove nulla è “normale”, logico, corretto, etico o scontato. Un luogo mai statico, ma in perenne movimento, sfuggente e inafferrabile. La globalità permette di contestualizzare finanche il degrado. Insomma un luogo dove, anche se il futuro è sempre e solo un’ipotesi, trasmette un’ irresistibile voglia di esserci.
Michele Carneglia (guida di NapolinVespa Tour)
Foto: Naporama.it
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