28 Maggio 2014
L'arte di arrangiarsi a Napoli
Tweet"Il Bibliotecario" - il focus di Antonio De Robbio sul blog di NapolinVespa
L’arte di arrangiarsi, a Napoli, non ha radici soltanto economiche – ciò è banale – ma, io credo, esistenziali. La città vive una intensa, continua, incessante emozione: l’horror vacui. Napoli, completamente vuota sotto, ha il terrore del vuoto, ha il terrore che, durante una semplice giornata, non possa riempire i tanti momenti dell’esistenza che sono da riempire. Napoli ha il terrore di non sapere cosa fare per perdere tempo! E che c’entra questo con l’arte di arrangiarsi? Mi chiederete. C’entra, se cambiamo punto di vista e cerchiamo di essere l’altro, cioè il napoletano che si arrangia.
Operata questa magia rimbaudiana ci accorgiamo che, dallo sciuscià a questi indemoniati che spacciano su sfreccianti moto che li battezzano come moderni, Napoli ha esportato senza sforzo l’arte di arrangiarsi nel resto d’Italia. Sarà perché, checché ne dicono gli analfabeti nordisti & sudisti, questo Paese non ha nessunissimo problema etnico ma solamente un problema di sviluppo differenziato; sarà perché l’arte d’arrangiarsi è sostanzialmente e totalmente italiota. A Napoli colui il quale si arrangia lo fa ANCHE per perdere tempo. Attenzione! Non sto sminuendo il problema economico-esistenziale di costui: sto semplicemente dicendo che il venditore di accendini (ma anche carte da gioco, erba, preservativi, tablet, carta igienica contraffatta, eccetera) vive in una realtà dove la paura del vuoto la fa da padrone. Allora egli, aggiungendo l’utile al dilettevole, vive interamente sommerso dalla propria arte di arrangiarsi. Essa lo fa mangiare ma lo fa anche CAMPARE, cioè vivere a 360°. Così facendo, colui il quale si arrangia corre due pericoli: essere “scambiato” per altro (camorra, malavita, delinquenza eccetera) ed essere incolpato di non voler “faticare”. Sentite cosa scrive Goethe, nel Settecento, quando, evidentemente, tale diceria da debosciati già circolava per l’Europa (ma riguardava tutti gli italiani) : "E ho potuto osservare molta gente mal vestita, ma nemmeno uno che sia disoccupato… Quanto più mi guardavo attorno, e quanto più attentamente osservavo, tanto meno potevo trovare dei veri vagabondi, sia delle classi infime che delle medie, sia di mattina che durante la maggior parte della giornata, giovani o vecchi, uomini e donne".
Il grande scrittore tedesco non riesce a trovare “veri” vagabondi e, in un altro passo del Viaggio in Italia, cita apertamente l’operosità di Napoli. E’ chiaro che Goethe non è molto obiettivo essendo innamorato della Capitale Italiana, ma certo egli ha descritto l’arte di arrangiarsi unita alla capacità napoletana di riempiere i vuoti. Quindi, smettiamola con il maledire Napoli per la inoperosità: essa è una città vivacissima ma, per certi aspetti, paleo-capitalistica. L’arte di arrangiarsi si è evoluta, certo, ma rimane qui relegata all’ambito dell’autoconsumo, laddove nel resto d’Italia essa è ben celata e, piano piano, reinvestita dall’italiota di turno per scalare la montagna sociale. E’ grazie all’arte di arrangiarsi che a Napoli trovi tutto. Direte – certo, sì, ma succede in ogni megalopoli. E’ vero, e perciò dobbiamo ringraziare iddio di vivere in una megalopoli… Trovi tutto, ancor prima che si inventassero gli outlet.
E poi, prendiamo un modo estremo di arrangiarsi: il chiedere l’elemosina. Negli ultimi anni la società multirazziale-all’italiana che è venuta a crearsi, ha fatto in modo che molti bassi del Centro Antico, patrimonio per secoli della plebe napoletana, sono passati agli extra-comunitari. Tempo fa ero alle Rampe di Sant’Antonio ai Monti e mi accorsi che è un quartiere tailandese o asiatico, non ricordo! Cosa era il basso? Era il centro dell’economia del vicolo! Spodestati dai propri troni, oggi i napoletani che si arrangiano debbono lottare con: sudamericani che (fingono) di suonare samba, indiani semi-muti che cospargono i sedili della metro di bigliettini “ho fame”, banalissimi zingari davvero fastidiosi che chiedono, chiedono, chiedono con 5000 bambini incollati al collo, eccetera. I napoletani si son dovuti arrangiare e trovarsi un altro modo per arrangiarsi. Alla ferrovia, per esempio, ho notato, che sono solo napoletani quelli che ti vendono la tecnologia …e te la spiegano, te la coccolano e tu puoi fare un buon affare. E perdere tempo. E lo sciuscià? Ma lo sciuscià oggi si sbatte per avere il massimo dalla vita ma NON E’ VERO che tutto il sottoproletario è delinquente! E’ “televisivo“, e lavora duramente per apparire e non solo per mangiare. Perde tempo!
Chi si ricorda di Uppà-Uppà? Era quel tipo, mezzo intronato, che girava per il Centro, preferendo la zona Università, chiedendo danaro per mangiare. Portava la mano destra, chiusa a cono, verso la bocca – in un gesto che in napoletano significa anche “che vvuò?” - e urlava Uppà-Uppà …cioè “Voglio mangiare; mangiare. Mi dai dei soldi?” Direte: ma era un mezzo matto! Verissimo, eppure Uppà rappresenta l’anello mancante tra coloro i quali ti fanno il pacco e l’attuale evoluzione dell’arte di arrangiarsi. Uppà si accontentava, oggi invece nessuno si accontenta ed ecco che il crinale tra “delinquenza” e arrangiamento si è assottigliato. Sembra strano, ma ad un horror vacui-perdere tempo di tipo lento si è sostituito un perdere tempo anfetaminico, serpentino, veloce. Un mare di persone, gesticolanti, a volte fastidiose, a volte persino allegre, che allaga la città come un fiume in piena. Una umanità che, in parte, ha messo da parte l’arte di fare “i pacchi”? Dove sono più gli ingenui? Dove sono i marines americani mezzo ubriachi? E poi, ormai, i “pacchi” te li fa chiunque…
Antonio De Robbio
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