16 Agosto 2015
"Agostino 'o pazzo" - L'incredibile storia del centauro scugnizzo
TweetLa storia di "Agostino 'o pazz" è una di quelle incredibili storie che racchiude lo spaccato di una Napoli ribelle ed in eterno tumulto. Una Napoli in perenne conflitto con quelle Autorità con cui difficilmente si riesce ad instaurare un rapporto sereno e duraturo. E' la storia di uno scugnizzo che amava la velocità sulle due ruote e che involontariamente divenne il simbolo di una ribellione nei confronti di chi utilizza sistemi drastici di fronte a problemi di ordine pubblico e che inevitabilmente coinvolgono chi ha sempre condotto le sue giornate senza dar fastidio a nessuno. Fu ribattezzato il Masaniello degli Anni 70 che per pochi giorni di agosto rappresentò il riscatto di un quartiere verso il quale troppe volte si hanno pregiudizi ma che nasconde anche l'anima più verace di una città ineguagliabile.
Segue un bell'articolo con intervista trovato in rete.
Nell'estate del 1970 Antonio Mellino, diciott'anni, fece pista di gran premio delle strade di Napoli, a cavallo della sua Gilera 125 un poco truccata. Al governo c'era Emilio Colombo; 250.000 giovani avevano da poco invaso l'isola di Wight per ascoltare Joan Baez e Jimi Hendrix, fumare l' erba e fare l'amore nell'erba; la benzina era appena rincarata di 22 lire al litro. La polizia s'intestardì a dare la caccia a quel centauro dai lunghi capelli che tagliava le curve sgommando e aggirava i posti di blocco infilando le scale del centro antico. Durò dal 18 al 23 agosto, i giornali non se ne accorsero. Il tam tam dei vicoli diede invece notizia della sfida alle guardie lanciata dal ragazzo ribattezzato Agostino 'o pazzo, da Agostini Giacomo che vinceva mondiali di motociclismo in serie. Così dal 23 al 26 agosto - le Quattro Nottate di Napoli - tre-quattromila persone scesero a tarda sera nel quadrilatero tra piazza Municipio, piazza Trieste e Trento, via Toledo e piazza Carità sperando di assistere alle evoluzioni del temerario. I ragazzini si arrampicarono ai pali della luce per dare tempestiva notizia del suo arrivo. Nacquero ingorghi a croce uncinata. Il bello è che Antonio-Agostino non c'era più, anche se lo avvistavano ovunque; nella mala parata, si era rintanato e non tornava a casa. In strada c'erano invece più di settecento poliziotti e carabinieri in divisa antisommossa con manganelli, caschi e scudi. Fu visto un ufficiale dalla sciabola sguainata. La folla sfotteva, gli agenti caricarono, sassi e bottiglie contro lacrimogeni. Bilancio: 56 feriti, 59 arrestati, 232 fermati. I fermati li salutavano con uno sventolio di fazzoletti. Sociologi, psicologi e tuttologi di pronto intervento si scatenarono per descrivere il ribellismo dell'eterna «plebe napoletana» e del redivivo Masaniello su due ruote. Il 25 agosto il motociclista misterioso fu identificato, forse seguendo la pista di quell'altro appellativo, Totonno 'e mezanotte, attribuitogli dai tifosi nottambuli. Quando i carabinieri si presentarono a casa sua in piazza dei Girolamini, il padre Vincenzo, onesto rigattiere, disse: «So perché siete venuti: non c'è». E si sentì male. L'ignaro Antonio-Agostino sperava solo, con una certa ingenuità, di non essere acchiappato. Lo presero il 18 settembre in piazza del Gesù. Era in auto con gli amici, fosse stato sulla moto sarebbe stato più difficile. Lo portarono ai Filangieri, i giornali stamparono la sua foto con lo sguardo corrucciato. Gli diedero una condanna severa ma non fece neppure un giorno di carcere perché, nonostante gli sforzi, risultò nient'altro che un vivace giovanotto di brava famiglia con la licenza media e l'ossessione della velocità. Antonio Mellino abita ancora in piazza dei Girolamini, nel palazzo in cui visse Giambattista Vico, retaggio ricordato da una lapide gonfia di umidità. Avendo ereditato il mestiere dal padre, apre bottega di fronte alla cancellata della chiesa e si muove tra icone e pastori, ex-voto e mattonelle, angeli e santi, teste di imperatori e scartellati. Ha svoltato sui cinquant'anni, ha messo su qualche chilo e ha otto fratelli e quattro figlie diplomate o studentesse. «Mi chiamo Antonio» si presenta; la gente passa e lo saluta: «Buongiorno signor Agostino». Indica la piazza: «Ecco il mio salotto». Fu lui, dopo la scossa del 1980, a salvare il tempio dall' invasione di cani, altre bestie e drogati, recintandolo con vecchie brande, filo spinato e materiali di risulta. Allora, fu davvero una sfida? «Macché. Cominciò perché mi volevano fermare a piazza Trieste e Trento, stavo andando dalla mia ragazza; fuggii perché avevo paura che papà lo venisse a sapere. Tenevo la passione della moto, a 14 anni avevo comprato già una Vespa. Correvo, facevo le tirate sotto la galleria della Vittoria, ero stato pure a Vallelunga. Papà non voleva, mi tagliava le gomme. M' inseguivano e io scappavo, ecco tutto. Non ci provai sfizio, anzi non capivo niente più. In quello che successe attorno non c'entravo nulla». Quale fu la svolta meno pericolosa? «Avvenne nei tre mesi passati ai Filangieri. Là dentro capii il bene e il male, capii soprattutto che la vita è bella». E cominciò a lavorare... «Tornai a lavorare, perché già accompagnavo papà nei mercatini, a Porta Portese». Però non fece solo quello, girò pure qualche film. «Sì, feci "Stress" con Ornella Muti e Irene Papas, diretto da Lenzi. Era la storia di un ragazzo che correva in moto, uguale a me. Ma non mi piacque, Napoli usciva negativa come sempre. Pure nei film vengono a riprendere i soliti sfondi gratis e il resto lo fanno a Roma. Ma perché non fanno mai vedere le cose belle e vere che abbiamo?». Poi girò altri film. «"Maccheroni" di Scola, "La pelle" di Liliana Cavani. Sono stato pure controfigura, cascatore. Restai tre mesi a Roma per un film americano "I guerrieri del mondo perduto"; insegnai ad andare in moto al protagonista. Ho fatto anche il circo, con Heller Togni. Saltavo in moto undici auto messe in fila, una volta la tavola per lo slancio era troppo morbida, rimbalzai in aria e cadendo mi bucai le ginocchia. Smisi». Riprende. «Per qualche tempo, a fine anni Settanta, ho organizzato spettacoli con Maurizio Mauri. Fittavamo un locale, 7.000 lire al biglietto. Ingaggiammo pure Massimo Troisi. Faceva la parte del guappo in pigiama, alla Viviani. Diceva: Ccà ci sta un solo guappo e so' io. E se ne vedete due è perché mi sto guardando nello specchio». La nostalgia della moto non l'ha mai inseguita? «E chi l'ha lasciata mai? La Gilera 125 sta sotto il palazzo. Ho una Kawasaki e una Guzzi 350. Quando le bambine erano piccole comprai un sidecar per portarle come in una carrozzina, si divertivano. E ho pure la passione dei cavalli. Del resto, qua a Napoli non puoi correre davvero, devi andare a Vallelunga oppure imboccare un'autostrada. So guidare ancora, quello non si scorda. Però la moto la porto come fosse un cavallo: con rispetto». Anche se le motociclette d'oggi sono un'altra cosa? «E già. Sono diventate proiettili volanti, ma come si fa a portarle? Bisognerebbe stare attenti a chi si danno. Mi chiamavano Agostino 'o pazzo e lo so bene: in moto viene l'eccitazione, si diventa un'altra persona. E invece l' importante è la sicurezza. Lo dico ai giovani: rispettate il codice, mettevi il casco perché può salvare la vita. Certo, bisognerebbe che i caschi e l'assicurazione costassero meno». Passa un ragazzo barcollante, con la roba nelle vene; vorrebbe andare a fare la doccia dalle suore ma il portone è chiuso. Antonio una volta Agostino gli parla, lo spinge a riposarsi al sole. Dice: «Bisognerebbe fare qualcosa per i giovani, dargli occasioni di lavoro, di normalità. Invece a Napoli non si trovano ed ecco qua». Nessun rimpianto per la popolarità, le corse, il cinema? «Nessuno. Dentro non mi sono rimasti ricordi particolari, erano cose di gioventù. La vita è tutta uguale, adesso lo so, so che contano la salute e l 'amicizia. Sono cambiato e sereno. Mi piace il mio mestiere e se viene un periodo in cui si vende poco, carico la roba su un camioncino e me ne vado a Porta Portese. E poi il popolo mi vuole bene e questa piazza è come se fosse mia. Lo sapete che una volta qua c'erano cinque chiese?». Adesso passa un'albanese con due gemelli biondi in un carrozzino. Sul manubrio ha applicato un bicchiere per le offerte e un registratore avvolto nel nastro adesivo da cui escono le note di un flauto etnico. «Ma che fantasia tengono questi immigrati» commenta Antonio-Agostino dopo l' obolo. E ricomincia: «Lo sapete che da quel palazzo si passa direttamente alla biblioteca dei Girolamini?...» Accendi internet e trovi che Agostino 'o pazzo non è stato dimenticato, è ancora un modello di ribellione possibile e di stile di guida. Un articolo dice che Schumacher ha vinto con «una tirata alla Agostino 'o pazzo». Non oso riferirlo al quieto signore seduto nel suo salotto su un bordo della piazza dei Girolamini, davanti alle icone e agli ex-voto.
Il vero Agostini: «Nei vicoli mi avrebbe battuto»
http://ilmattino.caltanet.it/hermes/20031012/NAZIONALE/CRONACA_NAPOLI/CENTRO.htm Oggi è un bell'uomo di cinquantotto anni con i capelli quasi tutti bianchi e un filo di pancetta. Trent'anni fa era l'idolo delle ragazze, col suo sorriso accattivante e la tuta rosso fuoco della Mv Agusta. Parliamo di Giacomo Agostini, il mito degli anni Settanta, che ispirò chi ribattezzò l' imprendibile Antonio Mellino col soprannome di Agostino 'o pazzo. Lo raggiungiamo al cellulare mentre sta raggiungendo un paesino in provincia di Padova, dove c'è un raduno di motociclisti. È il testimonial dell'Agusta, non può mancare a certe manifestazioni. «Agostino 'o pazzo? Certo che me lo ricordo. Il napoletano, quello che faceva impazzire la polizia con le sue rocambolesche fughe». Giacomo Agostini ricorda perfettamente. Conobbe il nostro Mellino nella Capitale, quando il centauro napoletano tentava la sua avventura nel cinema. «Lo incontrai una sola volta, a Roma. Mi pare che stesse girando un film con Ornella Muti. Mi fu subito simpatico. D'altra parte un napoletano non può non risultare simpatico al primo incontro» dice il campione bresciano. «No. Non l'ho visto andare in moto. Non ci siamo insomma "confrontati", ma so che andava fortissimo, che era molto, molto in gamba. Era bravo a guidare la sua Gilera 125 in città, nei vicoli. Quella, ovviamente, è tutta un'altra guida rispetto alle corse vere. Forse ci vuole più abilità rispetto alla pista...». Il motociclista - quindici volte campione del mondo, otto volte nella classe 500, sette nella classe 350 e primo in ben 122 gran premi - si rammarica di non aver assistito alle esibizioni dell'allora giovane napoletano. «Certo, mi sarebbe piaciuto assistere alle sue performances. Ma all'epoca anch'io ero sulla cresta dell'onda e quando il Mellino si esibiva anch'io facevo altrettanto». «Quando si parlava di Agostino 'o pazzo avevo già vinto dieci campionati del mondo. Erano gli inizi degli anni Settanta. Qualche tempo dopo sono stato a Napoli. Ed ho voluto vedere i luoghi in cui si era esibito il mio "sosia". Effettivamente, per quelle stradine dei Quartieri spagnoli, doveva essere un 'impresa seminare gli inseguitori, ovvero poliziotti e carabinieri». «Non mi ha mai dato fastidio - conclude il campione Giacomo Agostini - che a un giovane napoletano, sia pure per certi versi fuorilegge, gli fosse stato dato il mio nome. Anzi. Addirittura, sotto alcuni aspetti, la cosa mi inorgogliva. Il giovane motociclista era comunque un mito. E non soltanto a Napoli. Tutta la stampa d'Italia parlava delle imprese di quel ragazzo in modo assolutamente enfatico. Non mi dispacerebbe, dopo tanti anni, incontrarlo un'altra volta, magari proprio nella sua città e, perché no, fare con lui un giro in moto».
[Articolo di Pietro Gargano]
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